
Scusate per il ritardo ma ho avuto una settimana molto impegnativa
tra compiti e progetti scolastici... Ma ecco a voi il libro di questa settimana!
Il libro è stato scritto da Fabio Geda e racconta la storia di Enaiatollah Akbari, dalla sua nascita in Afganistan al suo arrivo in Italia. c:
Trama:
Il viaggio di Enaiatollah inizia perché in Afghanistan la sua famiglia è minacciata dai talebani. Suo padre, camionista, ha avuto un incidente in cui ha perso la vita e il carico del camion, l'ultimo di proprietà dei talebani. I talebani iniziano a perseguitare la famiglia di Enaiatollah, che inoltre fa parte degli hazara, l'etnia di minoranza perseguitata dai pashtun.
La mamma di Enaiatollah, per proteggerlo, decide di portarlo in Pakistan, dove lo abbandona. Prima di andarsene, fa promettere al figlio tre cose: non rubare, non usare armi e non drogarsi.
Enaiatollah trova lavoro al mercato come venditore ambulante. Qui fa amicizia con un gruppo di ragazzini hazara, in particolar modo con Sufi, con il quale decide di partire per l’Iran, giacché la vita in Pakistan è pericolosa e difficile per la loro etnia. Enaiatollah e Sufi si affidano a un trafficante di clandestini e partono per l’Iran con altre persone. Viaggiano su un furgone tutti ammassati. Durante il viaggio un uomo tenta di buttare Enaiatollah giù dal furgone: il ragazzo verrà salvato da un altro uomo che, in seguito, lo curerà all’arrivo in Iran, dove Enaiatollah si ammalerà gravemente.
In Iran Enaiatollah e Sufi vanno a lavorare in un cantiere edile e usano lo stipendio dei primi mesi per rimborsare i trafficanti. Nonostante il lavoro sia faticoso, Enaiatollah si trova bene perché fa amicizia con gli altri operai, tutti clandestini, e si sente parte di una grande famiglia. Tempo dopo Sufi lascia il cantiere per andare a lavorare in una cava di pietre, in un’altra città dell’Iran. Dopo qualche mese la polizia fa un'irruzione al cantiere edile: Enaiatollah, essendo un immigrato clandestino, viene rimpatriato. Il ragazzo riesce a tornare in Iran per poi subire un altro tentativo di rimpatrio. In queste occasioni viene derubato e maltrattato dalla polizia di confine, subendo anche attacchi con armi da fuoco. In quel momento decide di lasciare l’Iran e trasferirsi in Turchia.
Il viaggio a piedi per attraversare le montagne tra Iran e Turchia dura circa un mese. I clandestini si muovono di notte, per evitare di essere visti dalla polizia; il freddo e le terribili condizioni del viaggio causano parecchi morti. Passato il confine, i clandestini vengono caricati su un camion e portati a Istanbul. Il viaggio dura tre giorni e all’arrivo i migranti non riescono più a muoversi, essendo stati per troppo tempo fermi nella stessa posizione accovacciata.
Enaiatollah rimane per un breve periodo a Istanbul, poi alcuni ragazzini afghani come lui gli propongono di partire per la Grecia in gommone. Non avendo mai visto il mare in vita loro, i ragazzi sono terrorizzati all’idea di doverlo attraversare. Uno di loro, in particolare, teme che nel mare ci siano i coccodrilli.
Anche questo viaggio si rivela drammatico perché uno degli amici di Enaiatollah, LiaQat, muore annegato. Dopo varie avventure, grazie all’aiuto di una signora che lo soccorre e gli paga il viaggio in traghetto, Enaiatollah riesce ad arrivare ad Atene. Qui lavora alla costruzione del villaggio olimpico e si trova bene finché i Giochi Olimpici non finiscono. A quel punto decide di partire di nuovo e si nasconde in un traghetto di cui non conosce la destinazione. Scopre di essere arrivato in Italia, precisamente a Venezia. Dopo numerosi spostamenti, raggiunge un suo amico afghano a Torino, che gli fa conoscere un’assistente sociale. Sarà proprio questa donna ad adottarlo.
In Italia Enaiatollah inizia a studiare per imparare l’italiano e riesce ad ottenere il permesso di soggiorno, che la commissione gli voleva negare, grazie ad un articolo di giornale che mostrava un bambino afghano costretto dai talebani a sgozzare un uomo. Il libro si conclude con la telefonata di Enaiatollah alla madre, nella quale i due non riescono a parlarsi a causa della forte emozione.
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